Da piccolo lo avevano soprannominato “Verità”, forse perché non riusciva proprio a dire le bugie. Tra il giugno ed il luglio del 1982, nonostante avesse nemmeno 55 anni, già lo chiamavano “Il Vecio”. Enzo Bearzot non era solo il CT dell’Italia ai mondiali di calcio, ma un uomo tutto di un pezzo che aveva già scolpita nel volto quella saggezza che deriva dalla senilità. Perchè l’autorevolezza a volte viene pure dalle rughe. Contro il parere di tutti, il Vecio aveva portato in Spagna un ragazzino sottopeso e con le ginocchia delicate come vetro di Murano. Lo aveva appena raccolto dalle macerie di due anni di squalifica, fragile come un uccellino rimasto troppo a lungo in gabbia a fissare gli altri che volano. Quel ragazzo diafano si chiamava Paolo Rossi. Ogni sera il Vecio gli faceva portare in camera latte caldo e una fetta di torta di mele preparata da sua moglie. Nelle prime partite Paolo aveva giocato da cani: tra giornalisti e tifosi era caduta la grandine. Però il Vecio lo sapeva, lo aspettava e ci credeva perché sapeva già tutto. Così aveva continuato con la torta di mele, le parole giuste, la fede nei talenti imballati del suo ragazzo. Poi l’Argentina di Maradona: ancora niente, nonostante l’incredibile vittoria. Quel numero 20 sulle spallucce magroline sembrava un macigno enorme. Quasi come l’anno che stiamo per archiviare. Poi arriva l’Everest da scalare: il Brasile di Zico e Falcao. E alla fine, dopo tanto amore del suo Vecio e dei suoi compagni di squadra, Paolino è finalmente sbocciato in Pablito. Tre pappine ai carioca, due alla Polonia, un gol in finale alla Germania, Campioni del mondo (urlato tre volte) e il pallone d’oro.
Caro Dio, di sicuro Vecio lo sei. Però in questi giorni vorremmo che tu ti chiamassi soprattutto Enzo. Il 20 che ci stiamo per lasciare alle spalle è davvero pesantissimo. Abbiamo bisogno della tua tenerezza, di torta e zabaione per ritrovare tanta forza, per togliere alla speranza le ragnatele della paura. In questi ultimi mesi abbiamo salutato tanti, troppi angeli: che siano ora i nostri compagni di squadra, con dei cross alla Bruno Conti e urla di gioia alla Tardelli.
Invece tu Pablito ci hai appena tirato lo scherzo di correre Lassù dal tuo Vecio. Ci mancava anche questa. E soprattutto ci manchi già, tantissimo. Ora che insegni a dribblare i brasiliani a Gesù bambino, regalaci sempre il tuo sorriso per aiutarci ad alzare le braccia verso il cielo e trasformare il nostro 20 in un seme di vittoria e gioie indimenticabili.
Buon Natale e felice anno nuovo a tutti. Abbiamo dieci mesi di abbracci in arretrato: saranno come la torta di mele della moglie del Vecio…
Paolo Fongaro con la Redazione di Sovizzo Post
